Primo viaggio in India
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Primo viaggio in India

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India
Avevo la schiena a pezzi, ero a pezzi. Un inverno di tanti tanti anni fa... Stavo vivendo una relazione di quelle che ti rompono ogni cellula, di quelle che ti...

Avevo la schiena a pezzi, ero a pezzi. Un inverno di tanti tanti anni fa… Stavo vivendo una relazione di quelle che ti rompono ogni cellula, di quelle che ti fanno toccare le stelle più belle del creato ma che poi si trasformano in uragani di lava, sassi, polvere incandescente e poi ti sbalzano nel nulla, nel buio più totale di un universo freddo e atono, senza vita e colore. Volevo andare in India, erano anni che ci pensavo e viaggiavo in altri luoghi senza avere il coraggio di andarci.

Li a est, in quella terra crogiolo di tutte le religioni del mondo, ognuna vissuta allo stremo, anima e corpo, ritualizzata nello spasmo di colori e fatalismo. Una affianco all'altra nel bene di una coesistenza commovente e nel male della violenza più atroce.

Li in quella terra dove da nord, a sud, a est e a ovest, il mondo si ribalta, le pelli cambiano di colore, i visi si allungano, si appiattiscono, i corpi diventano minuti, neri, scheletrici o si innalzano possenti e virili sotto turbanti che nascondono capelli neri lunghi fino a terra. Milioni di bocche che parlano migliaia di lingue e dialetti.

L'unica nazione al mondo a contare un numero impressionante di vegetariani convinti, da sempre. La maggioranza. E su un miliardo e rotti, è tantissimo!

Li dove le mucche sacre entrano indisturbate nei negozi, ti spingono per portarti via il mango che hai nelle mani, camminano sulle rotaie scortando un treno con quattromila persone che si sporgono dai finestrini sperando che si decida ad uscire dal binario, ma che nessuno osa… lasciando che il serpentone di metallo arrivi in stazione con ore di ritardo. L’ ho visto con i miei occhi a Varanasi mentre aspettavo un'amica che arrivava da Nuova Delhi. Abbiamo aspettato un pezzo e poi finalmente l'annuncio dell'arrivo del treno. Chi arriva prima? La mucchetta!!! Tranquilla e lenta sul binario, un po’ stanca, un po’ assopita, annoiata, super star con dietro 30 vagoni stipati di umani. Sono rimasto senza parole, attonito finché la mia amica, scesa nel frattempo, mi è saltata sul collo riportandomi al presente.

Li in quella terra dove i corpi dei morti bruciano su ceppi e uomini con bastoni battono la carne incendiata per staccarla dall'osso cercando di affrettare la combustione perché la legna costa. Quel braciere di ceneri umane ancora fumante in cui ho visto famiglie rigirare il pane nel freddo nelle mattine d'inverno sulle rive del Gange della città più emozionante che io abbia mai visto. Con occhi sgranati, immobile e senza respiro ho visto il momento in cui il fuoco lambisce le vesti arancioni del defunto, il viso che appare, la fiamma che si ingrandisce di colpo quando i capelli vanno in fumo, la fiammella che si stacca e lambisce le sopracciglia ed inizia a sciogliere il grasso della pelle. Ti guardi attorno e vedi, ad un passo di distanza, che ci sono bambini che giocano spensierati con aquiloni vicino alle madri che lavano il bucato nel fiume o che fanno le palle di sterco di bue da essiccare per far fuoco. Ho passato settimane seduto in quelle gradinate, i ghat, a guardare estasiato, incredulo, quella vita così vivida, così pulsante da far sembrare zombi i nostri corpi tesi, i nostri passi nervosi, vestiti di tutto tranne che di colore delle nostre città d’inverno… Quando ho portato Pantxoa anni fa è rimasto senza parole se non quelle per dirmi di portarlo via, poi nei giorni a seguire gli ho visto nascere un timido sorriso che si è trasformato in un: ci vivrei qui, restiamo ancora un pò! Di Varanasi potrei scrivere per giorni, dell'india per anni…

Il dottore mi disse che ero incosciente a partire per un viaggio del genere, a stare ore su un sedile di un aereo con la schiena che non mi faceva chiudere occhio da giorni. Non c'era verso. Volevo andare. Avevo bisogno di lei…Mi ha strapazzato con delle mosse da karate kid, mi ha insegnato a farmi delle punture intramuscolari (mi sembrava di essere rambo…). Ero a pezzi, la schiena era un punto di sfogo del mio cuore malato d'amore, malato di un amore malato. La mia energia era al minimo, la mia aurea sfocata e sporca..

All’alba un’amica della mia cara Silvy mi porta all'aeroporto. Vado!! A Bombay arrivo alle due di notte, questi conoscenti indiani mi vengono a prendere, mi fanno salire sulla loro macchina e mi portano a casa loro. Nel tragitto, mezzo intontito e accelerato dall’emozione guardo dal finestrino e per un pezzo non riesco a capire niente. Vedo marciapiedi pieni di cartoni, lamiere, fili elettrici, intravedo corpi stesi. Mi sveglio all'alba, guardo dalla finestra e rimango veramente scioccato, non riesco ad articolare un pensiero coerente. Sotto un cielo rosso fuoco vedo delle fiamme che si innalzano altissime da delle ciminiere che sovrastano una distesa compattissima di cose, di forme che il mio cervello non riesce a catalogare, a definire ma… deve, sono case. Non capisco. Sono su una nave sputafuoco in mezzo ai detriti, è esplosa una bomba atomica mentre dormivo… con gli occhi sgranati faccio un salto, un fischio potentissimo mi entra in testa, abbasso lo sguardo e vedo un mostro avanzare a passo d'uomo tra migliaia di persone, cose, immondizie, capanne, lamiere, bambini, fili e teli piantati a un centimetro dai binari, persone che camminano davanti, insieme, sopra il treno. Bussano alla porta. Una faccia scura, sorridente, con un brillantino in mezzo alla fronte mi mette in mano una tazza di chai, il tè.

Buon giorno Bombay.
Welcome in india!!!

Esco, devo cercarmi un mezzo di trasporto per andare giù nella mitica Goa! Non ho tempo, spazio, per sentire i dolori alla schiena. Vado in strada spaventato dalle visioni apocalittiche del risveglio. Vengo investito da un turbine di colori, gambe, visi, odori, profumi intensi mai entrati nel mio corpo, ancora colori, suoni, campanelli, mucche, cani carretti, suoni, suoni, occhi, capelli, turbanti, vita, vita, vita. Il passaggio dallo spavento ad una sensazione di umana vitalità è immediato. Ammazza… quanta vita!!!!! Sorrido. Mi piace. Mi piace, mi piace!!! Vado saltellate e mi immergo nella folla benevola e colorata senza il minimo timore, mi faccio risucchiare dal vociare di quel mondo lontano che mi ha già conquistato. Ed è solo l’inizio…

Vado alla Victoria Station per comprare il biglietto del treno, dopo aver scavalcato un milione di persone finalmente arrivo alla biglietteria. Non ci sono posti fino a metà gennaio!! Boia!! Che si fa? Una coppia di giganti biondi, inconfondibilmente nordici mi si avvicina, sono nella mia stessa situazione. No seats until january! Che dite? Come andiamo giu? Loro vogliono andare a tutti costi e non vogliono andare in pullman, io non conosco l’india, capirò in seguito cosa vuol dire farsi 22 ore di autobus… Mi propongono di andare in macchina e dividere la spesa. Ci stò. La spesa non è eccessiva. Mi aggrego. Trovato il "gancio". L appuntamento è per il giorno dopo alle 8.

Rientro a casa e i miei conoscenti mi accompagnano per negozi di stoffe. Il figlio deve sposarsi ed iniziano gli innumerevoli acquisti per un cerimoniale che nella media, bassa, conta almeno 500-600 invitati per una durata di giorni e giorni. Sposarsi costa una follia, morire e farsi cremare molto meno, ma non è per tutti…

Nei negozi mi infastidisce l'aria condizionata, non sto bene, ci fermiamo a mangiare un samosa (pasta fritta ripiena di un sacco di cose, patate, peperoni verdi, masala e spezie varie), osservo due ragazzi che armeggiano con una bottiglia d'acqua, stanno incollando il tappo!!! Anche io ho in mano una bottiglia. Con l'acqua di rubinetto in India è meglio lavarsi le ascelle… Mi viene da urlargli dietro che sono degli idioti. Sto zitto.
Well come in India. incredible India…si…si…

Alla mattina mi sveglio e sto malissimo, ho una febbre da cavallo e la schiena ulula. I miei conoscenti mi dicono di non partire. Io voglio andare. Vado. Gli svedesi gentilmente mi lasciano davanti a fianco del guidatore. Sto malissimo. Si parte. È un incubo!!!!! Mi sfilano davanti migliaia di palazzoni mai finiti, lasciati li. Scheletri di grigio cemento. Lasciati dai delinquenti che ci sono ovunque in questo mondo, delinquenti che si fanno dare i soldi degli appalti, buttano su lo scheletrone e spariscono lasciando bocche da sfamare affamate. Bastardi! Vorrei urlare al guidatore che è un pazzo, vorrei linciarlo, picchiarlo selvaggiamente. Ma come guida???? Ma… non è lui, sono tutti cosi!!! Hai me!!! Sono allucinato dai dolori alla schiena, dalla febbre, sono aggrappato alla maniglia, non capisco piu un cazzo, tutti sorpassano tutti ovunque, in curva, sui dossi, tutti suonano il clacson e si buttano a sorpassare senza guardare. Il frastuono è infernale. Il clacson è sacro. Senza di lui sei morto, schiacciato. Nel retro dei camion, di tutti i camion è perfino scritto.

PLEASE HORN. L’India è così.
Per favore suona.

In moto in tutti gli anni successivi mi è capitato di romperlo. Non faccio nemmeno un metro senza. Preferisco guidare a fari spenti, ma il clacson no. Quello deve esserci altrimenti sei spacciato!!!

La febbre sale insieme ai miei dolori non ce la faccio piu. Le ore passano, non ho più nemmeno la forza di spaventarmi sulla strada ma non riesco a chiudere occhio. Ma cosa ho? Penso a quella bottiglia d’acqua di quei ragazzi, penso agli avvertimenti della Lonely Planet sulle malattie. Mi sarò beccato il tifo, il dengue, il colera. Cos’ho??? Sono solo in India, da solo! Disperato nel cuore, nella mente ed ora in tutto il corpo.
Viene il buio. Non arriviamo mai. Io sono allo stremo. Finalmente dopo 17 ore che non scorderò mai arriviamo a Goa. Dove si dorme? Dico agli olandesi che non ho idea, che per favore mi buttino in qualsiasi letto a loro scelta, ovunque, ora, adesso. È notte, sono a letto, mi rendo conto che sto delirando, faccio fatica ad andare in bagno, a reggermi in piedi. All’alba mi trascino alla porta, la luce mi acceca. Trovo un succo di anguria, due bottiglie d’acqua e un bigliettino. Gli olandesi sono andati via. Mi scrivono di rimettermi in sesto e cercano con una frase mal piazzata di dirmi che secondo loro non ho il tifo…sono solo. Sto male. Inizio a pensare che quella terra mi ha chiamato per venirci a morire. Vi giuro, non sto ne romanzando ne enfatizzando. Era così. Mi sentivo così, pensavo così. Ero a pezzi in una stanza che non sapevo nemmeno dov'era, sapevo solo di essere da qualche parte a Goa. Solo e disperato!! I padroni della stanza mi lasciano dei succhi di frutta fresca sulla soglia senza mai entrare, senza mai chiedere chi sono, come stò. L'india è anche questo. Sono fatalisti, quello sta male, forse gli passa… forse si, forse no, il tempo lo dirà. Passano tre giorni. La mattina del quarto giorno inizio a ragionare con più lucidità o per meglio dire… inizio a ragionare. Esco, chiedo finalmente di essere portato da un dottore. Mi portano. In quella stanzetta di fronte a quella faccia sconosciuta che mi visitava ho saputo che non sarei morto. Non avevo ne tifo, ne colera ma un semplice virus che imperversa a Bombay, i loro semplici virus per noi sono dei mostri che ti tramortiscono. Ma io ero già partito malato, malato nel cuore, nello spirito e quel mostro aveva trovato terra fertile. In quelle notti, febbricitante, ho detto alla vita di prendermi se proprio doveva e lei mi ha risposto… tre pilloloni di super antibiotico e dopo due giorni ero in piedi! Non capivo come potesse essermi completamente sparito anche il dolore alla schiena che avevo da mesi. Mah…

Parte seconda.

Ciao amigos. Sempre dalla Posada Mexico, dalla nostra terrazzetta sul mar vi scrivo!!!

Allora… dopo essermi rimesso in piedi con nuova energia, vado!!!
PRIMO VIAGGIO IN INDIA. Coming out, Baba Cesare e le nostre madri.

Prima di tutto. DONNE.

Allora, dicevo… In piedi con nuove forze e rinnovata energia mi butto all'esplorazione della mitica Goa! L’andazzo mi piace immediatamente, annuso subito che il posto più (cool) è Anjuna. Faccio lo zaino, lascio la stanzetta della mia agonia e via! Mi trovo un altro alloggio. Esco ed inizio a guardarmi intorno per bene, vado in spiaggia e zac! Un tizio mi dice ciao, io rispondo. Ciao, mi chiamo Moreno mi dice, che fai qui? Non lo so, esploro… Ti presento la mia ragazza, Daisy. Neozelandese. Mi siedo con loro sulla sabbia, diventiamo amici. Al tramonto vado al Nine bar e lì mi si avvicina una bellissima ragazza, è indiana ma nata e residente in Inghilterra. Diventiamo amici, mi invita a cenare con loro la sera. E io mi dico, ma guarda che figata di gente che c’è qua. In un giorno ho già nuovi amici da ogni parte del mondo! Yeppa che bello. Sto bene!!

Daisy è una ragazza alta un metro e ottanta, capelli nerissimi, bellissima ma intuisco e poi mi verrà confidato da Moreno che è stata eroinomane e non ne vuole più sapere. Decidiamo insieme di vivere quei giorni a Goa senza alcool e qualsiasi altra sostanza che nei rave notturni ti tirano dietro e dove moltissimi giovani e vecchi hippy si inebriano sotto le stelle al ritmo di musiche ipnotiche. Si fa fatica, ma noi vogliamo far così. Daisy deve, Moreno l’aiuta, io ho bisogno di lucidità. Perfetto, siamo un trio di giovani tremendi in una Goa inebriante in vena di pulizia mentale!!! Mi diverto da morire a vedere questa fauna pazzesca di elementi da ogni parte del mondo che sono li a Goa. Chi per 20 giorni, chi da due anni, chi da trenta!!! Tutta quella fauna underground, vestiti come dei circensi pieni di tatuaggi, piercing, che mondo… Gli ebrei israeliani sono un caso strano. Siccome fanno tre anni di militare, quando finiscono moltissimi di loro vengono in india. Si mollano i capelli, fumano erba dalla mattina alla sera e ne fanno di tutti i colori. Durante la stagione calda vanno su a Darjeeling, nel nord dell'India, in montagna dove si fa l’hashish mentre in inverno scendono a Goa. C’è chi non è più tornato in Israele. Una volta mi hanno raccontato che su a Darjeeling è arrivato l'esercito israeliano. Sono andati su a ripescarli e riportarli a casa. Accalappiati uno per uno come cani e riportati all’ovile, perché servono soldati, armi e avanti con questa storia infinita in quella terra. Terra che ho visitato, volevo vedere e toccare quel dissenso ma… ve la racconto, non ora… Eh… Ma pensa… una delle tante, migliaia di storie che si sentono viaggiando su questo pianeta che tanto mi affascina.
Passano i giorni, tutte le mattine vado da un vecchietto che mi insegna le tecniche di respirazione Pranayama. Moreno a volte viene e a volte sta in branda. Daisy mi piace molto, non l'ho più vista. Spero non sia mai piu ricaduta nel baratro dell’eroina. Moreno l'ho rivisto a Londra un anno dopo. Stavo bene con lui ed in India abbiamo passato dei bei momenti ma un giorno a Londra, mentre gli parlavo delle mie pene d’amore nelle quali ero ripiombato l'anno dopo con la stessa persona, lui mi ha detto: non sarai mica frocio? Dimmi che non lo sei. Sono rimasto malissimo. Non me l'aspettavo, non da lui. Lo credevo un amico ma, un amico non dirà mai una frase del genere. No, non siamo amici. O perlomeno non siamo pronti per esserlo. Non ora. Arrivederci o addio… non ho piu voluto cercarlo. Mi spiace, gli volevo bene. A Londra ho incontrato anche la bellissima Ann. L'indiana. Era uno schianto. Una bellezza da togliere il fiato. Siamo usciti assieme. Lei voleva qualcosa di più… io no… ero su un altro pianeta. Infognato nuovamente fino al collo in quella che è stata la relazione più turbolenta e distruttiva della mia vita.

Un giorno vado in spiaggia ad Anjuna, mi sentivo un pò triste, un po’ smarrito anche se avevo intorno nuovi "amici". Goa la conoscevo, sentivo che dovevo muovermi. Osservo un giovane dai capelli lunghissimi giocare con le palle da giocoleria come un mago. Bravissimo. Si chiamava FRANZ, è lì da un anno. Ci conosciamo. Mi osserva attentamente e mi dice: cosa cerchi? Lo guardo attonito e non so cosa rispondergli. Una domanda così diretta fatta da uno sconosciuto a me che ero lì proprio per cercare di trovare qualcosa. Un segno… Qualcosa che mi tirasse fuori dal baratro.

Senza aspettare alcunché mi dice dritto negli occhi. Prendi e vattene ad Hampi, li troverai… Ed io gli dico, ma che cazzo è Hampi???? Lui mi dice è a 9 ore da qua. Non ti dico niente. Vai. Ti farà bene. Non ci ho pensato un attimo. Gli ho creduto seduta stante. Quel ragazzo aveva qualcosa, quel qualcosa che non ha nome, quel qualcosa che ti arriva nel momento giusto e che il tuo istinto ti dice di seguire. Non l'ho mai più rivisto ma è sempre nel mio cuore perché mi ha fatto conoscere uno dei posti più magici che ho visto fino ad ora. Di una bellezza ed un misticismo che mi ha commosso alle lacrime ogni volta che ci sono tornato. L'ultima, l’anno scorso con Pantxoa.

Detto fatto. Dico a Moreno che me ne vado lì ad Hampi. Voglio andarci in moto. Lui parla con Daisy e mi dice che viene con me. Lei rimane. Ci noleggiamo due enfield 350, le mitiche enfield che hanno costruito gli inglesi durante l'impero e che hanno lasciato in eredità agli indiani dopo l'indipendenza voluta da il grande, grandissimo GANDHI. Se avete occasione leggete il libro di Dominique Lapierre che vi porterà a conoscenza di una delle storie a mio parere più affascinanti del nostro secolo. La storia di un miliardo di persone che chiedono e ottengono l'indipendenza dopo secoli di dominio, guidati da un uomo che resterà nella storia e nel mio cuore per sempre. Un'indipendenza sofferta, inevitabile, sfociata malgrado il messaggio di nonviolenza di Gandhi in atroci massacri che solo i fanatici e l’ignoranza sanno generare.

Partiamo all’alba! In mezzo a foreste e distese immense, brulle, saliamo montagne, scendiamo e all tramonto arriviamo. Rimango folgorato!! Non ho mai visto una cosa del genere. Verso l'arrivo il paesaggio inizia a cambiare radicalmente. Si capisce subito che ci stiamo avvicinando a qualcosa di speciale. Ci sono enormi massi di pietra nera, di granito! Rotondi, alti come palazzi di dieci piani. Massi giganti che sembrano piovuti da cieli alieni o gettati come sassolini dalla mano di Giove. Disseminati tra campi di verdissime risaie. Siamo stupefatti! Iniziamo a costeggiare le rovine di templi incastrati sotto i massi o sopra di essi. Siamo arrivati nei resti dell’impero di VIJAYANAGAR. Uno dei più grandi imperi del quindicesimo secolo del centro sud dell’India. Decaduto dopo aver raggiunto apici di civiltà e bellezza.

Entriamo tra le rovine dove vivono intere famiglie al lume di candela. Lo spettacolo è folgorante. Non può esistere che qui. Altrove un posto del genere lo avrebbero mummificato di recinti e biglietterie all’entrata. Ora lo stanno facendo, piano piano. Ora è sotto la protezione dell’Unesco. Inevitabile ma d’altronde giusta cosa… io l’ho visto prima. Così come ve lo racconto. Immaginate di entrare nei fori imperiali e nelle nicchie vedere famiglie e lumini che cucinano, dormono, vivono…

Ci sono pellegrini vestiti di nero che vengono da lontano. L’atmosfera religiosa è contagiante, meravigliosa. Un fiume passa tra le rovine, tra le risaie, lento e silenzioso. Le imbarcazioni sono degli enormi cesti di vimini che scorrono tra gli elefanti che si bagnano. Il tempio è gremito, entriamo e veniamo toccati di polvere viola, in fronte, benedetti da uno degli innumerevoli dei indiani. Sono a bocca aperta. Amo quel posto, amo l'India. Ad Hampi non sono le rovine a renderlo così magico, le rovine dei templi sono un contorno di un paesaggio da fiaba.

I tramonti, le albe viste da in cima ai massi sono spettacolari. C'è silenzio tra i giganti di granito, sole, risaie dal verde elettrico, in contrasto con la terra giallissima, migliaia e migliaia di uccelli che alla mattina non mi stanco di osservare. La gente li è sì povera, ma vive in paradiso. Lo si vede nei loro occhi, nei loro movimenti.

Ci sono tornato anni dopo, questa volta da solo, sempre in moto. Poi ci sono tornato l'anno,scorso per mostrare questo paradiso a Pantxoa. Questa volta in due sulla enfield. È rimasto scosso e mi ha detto che non ha mai visto nulla di più bello. Che piacere!!!!

Una mattina mi sono svegliato come sempre all'alba e mi sono incamminato tra le risaie, mi sono bagnato nel fiume con il sole rosso che nasceva giusto sul tetto del tempio. Silenzio… Vi giuro che mi sono commosso alle lacrime. Sono quei momenti di pienezza così grandi che non sai controllare, non sai chi ringraziare per tanta bellezza, quasi implodi di gioia. Io e Pantxoa vi siamo rimasti 10 giorni ed in quei giorni…

Ho incontrato BABA CESARE! E qui arrivo…

Due anni fa ero nel Karaka al sud dell’India dove vado spesso per fare un regalo a questo corpo che non tratto sempre benissimo. Vado a fare Ayurveda. Ho fatto anche un digiuno di otto giorni. Esperienza stranissima. Senza cibo per un'intera settimana, dopo i primi giorni durissimi scatta qualcosa di metafisico… Si inizia a sentirsi leggeri come l'aria, i sensi si acutizzano, vista udito, olfatto. Il corpo è pulito. L’ho fatto anche due volte in italia. Una a Milies andata bene, la seconda giù a Bigolino nel mio appartamento, finita male! Sono finito all'ospedale mezzo morto. Momento sbagliato, avevo un'infezione che non sapevo di avere e senza cibo ci ho dato sopra. Va beh… Sabina mi ha spedito all’ospedale, Nereide è venuta a riprendermi. Che raza de mat! Eh…hem…

Li in Kerala mi ero portato un libro di FOLCO TERZANI. A PIEDI NUDI SULLA TERRA. Il Folco è il figlio del mio TIZIANO TERZANI che Silvy mi ha fatto conoscere prestandomi “Un indovino mi disse”. Ho letto tutti i suoi libri e ve li consiglio. Tutti!!!! È morto pochi anni fa e mi è rimasto nel sangue. Lo penso ogni volta che medito come uno spirito guida. GRANDE!!! Incuriosito anche dal figlio che avevo visto in Tv e mi sembrava degno figlio del grande padre, ho preso il suo libro.

Folco ha vissuto una vita in Asia con il padre e voleva scrivere una storia sui Sadhu. Questi santoni dell’India. Ha vissuto anni in quella terra e ha conosciuto e scelto la singolare storia di un Baba molto conosciuto e stimato nella comunità dei Baba indiani, ma... Questo Baba È italiano! Il che è molto inusuale. Il libro narra la sua storia raccontata in prima persona, con un linguaggio molto semplice, a volte di una ingenuità disarmante. Lo leggo, non mi emoziona come le gesta di Tiziano, ma mi rimane comunque molto impresso per la singolarità della storia. Leggetelo per capire cosa può combinare un ragazzo torinese che negli anni settanta va in india.

La sera prima di partire per Hampi facciamo conoscenza di una coppia indiana di scrittori di viaggio. Fantastici, si chiamano RED SCARAB. Un colpo di culo! Tirano fuori le mappe stradali e ci danno le indicazioni per quello che è stato un altro memorabile viaggio in enfield di noi due. Ci hanno fatto fare stradine sconosciute. Meraviglioso!!! Abbiamo fatto qualche migliaio di chilometri nell'india rurale evitando le città, tra piantagioni di tè, caffè e villaggi d’altri tempi, tra templi di epoche antichissime di una bellezza e di una complessità architettonica da far impallidire il rinascimento italiano.

Finito di spiegarci le mappe, mi dicono:

Hei, se vai ad Hampi mi raccomando devi fare visita a Baba Cesare.

Sgrano gli occhi e gli dico: chi? Baba Cesare? Ma… Come.
Si è li che lo troverai.

Che figata. Hampi + Baba Cesare!!!!! Via!!!!!!

Arrivati ad Hampi tra una frignata e l’altra (ha ha… dai non frigno spesso ma in un posto così la lacrima ci sta, eccome) io inizio a chiedere in giro di BABA CESARE e nessuno lo conosce, ma come? Vedo anche altri Baba nei templi e chiedo. Niente. Com'è possibile? I Red Scarab sanno quello che dicono e scrivono. Ba, va beh…

Un giorno io el Pancio entriamo in un tempio. Saliamo il masso granitico, ci togliamo le scarpe come tutti e iniziamo a camminare, troviamo un simpatico vecchietto che ci dice di seguirlo. Ci inerpichiamo tra i sassi, scimmie e con qualche spina nei piedi ci porta in cima, dove si dominavano i dintorni di Hampi. Una favola!! Ad un certo punto (naturalmente in inglese) gli chiedo: do you know Baba Cesare? Quello mi guarda, pensa e mi fa: Sisar Baba? Ed io si, si cazzo, Sisar Baba!!! Accidenti, loro non pronunciano Cesare ma Sisar!!! Yes yes yes!!!!!! Dov’è??????? E il vecchietto con un gesto di plateale rispetto mi indica un punto nel verde. È li. Quello è l’Ashram di SISAR BABA. Lo avevo trovato. E… l'avevo trovato A PIEDI NUDI. Questi chiamiamoli segnali di coincidenze che mi capitano spesso, non so cosa sono, cosa vogliono dirmi né da dove  vengono, sta di fatto che ci sono e io ne sento il potere.

Siamo scesi, io più emozionato che mai, prendiamo la moto e ci avviamo verso il posto. Chiediamo un paio di volte e tutti al suono Sisar ci sanno indicare la strada. Tutti lo conoscono. Ci credo. Baba Cesare è il Baba di Hampi!!!! Il più conosciuto, il più rispettato.

Pantoxa voleva lasciarmi solo in quell’incontro. Mi ha seguito tra le rocce e poi quando ho aperto il cancelletto di legno e sentivo di avvicinarmi mi ha lasciato solo.

Vedo queste caverne tra i massi, pulitissime, con dentro gli incensi e le candele ed i simboli indiani dell’om. Mi sto avvicinando… Salgo ancora un po’ e in un giaciglio tra la roccia vedo un vecchietto scheletrico dalla pelle bianca con i capelli che conservano ancora un biondo cenere, rasta, lunghi fino ai fianchi. Non può essere che lui. Mi avvicino e gli dico: Ciao Cesare. Ti conosco, ho letto la tua vita scritta dalle mani del Terzani. Annuisce, assonnato. Guardo il suo giaciglio, una coperta, una foto sbiadita, delle tazze in terracotta e un libro rilegato in pelle. Il manoscritto originale di Fosco. Nient’altro. Mi siedo con lui, ci studiamo, mi chiede da fumare e io gli do quello che ho in tasca. Macina, mescola con abilità e molta calma, riempie il cilum e si fa una fumata. Mi ringrazia. Io gli dico che mi sarebbe piaciuto portargli qualcosa dall’Italia, se sapevo di incontrarlo ma lui mi dice, io non ho bisogni. Niente mi manca. Rimango in silenzio, ci guardiamo. Arrivano dei pellegrini e degli aspiranti Baba, indiani!! Lui li benedice con dei rituali, io osservo. Vedo la devozione ed il rispetto nei loro occhi. Sono fiero di lui, di essergli accanto. Pantxoa mi aspetta. Una donna che lo accudisce come le nostre perpetue gli dice di sdraiarsi che deve riposare. Io mi alzo, lui mi dice di tornare e cenare con lui nell’Ashram. Gli dico addio Cesare sono felice di averti conosciuto, tra me penso che sono felice di questo e di aver sfiorato un Terzani… Sto bene, ce ne andiamo ad immergerci nelle acque del fiume sacro di Hampi. Io e Pantxoa soli con le rovine di Vijayanagar sullo sfondo. È stato un altro grande giorno. Grazie.

Quella volta con Moreno sono rimasto ad Hampi solo due giorni. Dovevo tornare in Italia. Sono rientrato fresco e rinato, pronto e guarito. Non volevo più quella persona. Potevo stare senza. Ero guarito!!! Ma… un giorno mi ha telefonato, inaspettatamente e io… ci sono ricascato. Dentro, ancora nel turbine devastante di un amore sbagliato.

Oggi andiamo a Pochutla a fare manutenzione agli scooter che iniziano già ad andare a pezzi. D’altronde… Un italika cinese assemblato in Messico non potevamo pretendere…

Venerdì appuntamento dalla KURANDERA.

Vi lascio con questo scritto su Varanasi che scrissi anni fa e mandai per mail a pochi amici. Non ero su Facebook allora.

Buona notte cari.

Siamo a Varanasi. Ci torno dopo 11 anni. Me la ricordavo intensa, densa di anima, di riti di morte quasi gioiosa, impregnata degli umori di tutta l’india, sporca, lurida fatiscente e affascinante ma è di più ancora.

Mi aspettavo che si fosse in qualche modo evoluta, globalizzata, smorzata e pulita ed è per questo che ho voluto tornarci e farla vedere a Pantxoa, pensando che inesorabilmente andasse incontro all'estinzione, ma non e' cambiata!!

Venire a Varanasi è ancora uno shock dirompente anche per me, che conosco l'India e mi rendo conto che molte persone non saprebbero reggere l'impatto.

Eppure come 11 anni fa la sensazione che mi lascia questa città in cui la gente viene a morire, in cui si respira il fumo dei cadaveri che bruciano tra l'arancione delle vesti e dei fiori, questa città in cui la gente estasiata si immerge, si lava e beve l’acqua del fiume sacro, putrido di escrementi e cadaveri. Questa città' sa dare gioia. Ti ammalia, ti accompagna molto vicino allo spavento supremo. Dove i bambini sorridenti corrono con i loro aquiloni sospinti in alto dal calore delle pire funerarie. La vita e la morte scendono ogni giorno tenendosi per mano i gradini bagnati dal Gange. I corpi dei bambini inferiori ai 10 anni e i santi uomini vengono fasciati e lasciati affondare con dei sassi nell'acqua. Nel Gange si getta anche ciò che il fuoco non riesce ad incenerire ma che si compatta in un solido blocco informe: il petto degli uomini e il ventre delle donne. Questa città' vive di un flusso inarrestabile di fede, sangue, caldo che scorre implacabile tra lo sterco delle vacche sacre. Si scivola e ci si imbratta di materia organica in decomposizione. Urina, odori fortissimi, cenci anneriti in cui si muovono corpi, corpi di vecchi che attendono la morte alle porte del paradiso, corpi di bambini che giocano sorridenti con cani scheletrici e bufali enormi, capre, scimmie. Suoni di sitar sanayi, campanelli, tabla, candele che galleggiano su barchette di fiori. La luce è gialla, come in tutta l’india l'alba che illumina frontalmente.
I gradini di Benares, è spettacolare. Il mondo indù si immerge nelle acque del Gange per purificarsi, è un nuovo giorno, e quindi è festa. La città si sveglia sempre di buon umore e questo è contagioso. Fuori dalle tortuose strettissime stradelle della città vecchia è un caos, un carnaio di carne e macchine ferrose che si spostano in un'anarchia totale, frastornante.

La vita, in questa città che accompagna la morte

grida a voce alta la propria presenza.

VARANASI.


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