Buongiorno a tutti e a chi leggerà auguro un buon viaggio!
Questa lunga storia è per voi. Tutti.
EGITTO, Sinai - Maggio 2021
Qualche tempo dopo la fuga… per andarci sono dovuto praticamente evadere dal mio.
90 giorni di viaggio. 3 ore e mezza di volo a sud est, fin qui in Africa, o meglio: Mama Africa durante la pandemia.
È il secondo viaggio durante questa pandemia. Il primo lo scorso settembre sul cammino di Compostela.
Diverso, così diverso ogni nostro scoprire. Così importante il sapere per renderci faticosamente liberi.
Per ironia nella sorte, il Covid ha battuto cassa e ha voluto il mio tributo qui in Egitto, a Luxor. Non è stata una passeggiata e me ne ricorderò ma come poteva essere altrimenti?… Proprio qui dove si è deciso durante questo lungo anno di avere un approccio diverso, poco si è fermato, se non il comparto turismo già messo a dura prova dagli eventi politici passati. Quasi nessuno in giro. Qualche Russo e qualche Ucraino al museo Egizio e a Karnak, poi... pochi, pochissimi turisti e viaggiatori.
Il perché è con tutta probabilità dentro il martello mediatico, sadico e sporco, ed anche purtroppo ai suoi morti che valgono di più o di meno, a seconda degli umori di qualcuno. Dentro il tempio di Ramses ad Abu Simbel solo io e Pantxoa, con alcuni passeri allegri, sotto il colonnato di Edfu, forse il tempio più suggestivo di questa grande esperienza; solo noi e due guardie in tutto l’enorme e mistico complesso. Privilegio. Ringrazio profondamente di aver avuto questa occasione, speriamo unica… Fuori la vita continua con qualche mascherina di mezzo, principalmente nel servizio pubblico. I suk però… sono impaccati di gente, uno sopra l’altro. Bar, ristoranti, negozi aperti, pochissime mascherine. Poche limitazioni, scuole si, scuole no, un pò di spray e qualche misurata di febbre nei musei vuoti. Gente ovunque. Egiziani, Nubiani, Berberi, Beduini.
Cairo 5 febbraio 2021 - arrivo.
25 milioni di individui a piede libero. A prima vista indubbiamente più spensierati, asciutti e belli scuri rispetto al nostri visi pallidi ed anche alle nostre pance gonfie di tutto un pò… Uscire dall’aeroporto del Cairo e ritrovarsi a sole 3 ore di volo, dopo un anno di terrore mediatico in una società “aperta” in questo modo è stato piacevolmente scioccante. Mi ero preparato un pacco di carte per affrontare la fuga. Test, assicurazioni sanitarie, contatti con società e artigiani che intagliano pietre. Non mi chiedono niente al ceck-point in aeroporto. Leggono due righe: creo arte e vado ad indagare chi le fa perché ne ho bisogno ora.
Aeroporto di Bergamo quasi vuoto. Chiediamo a Carlo, che ci accompagna, di aspettare in zona aeroporto in caso ci respingano. Quasi nessuna domanda. Facile. Avrei voglia di sentirmi dire qualcosa dalla polizia che provochi uno scambio in cui urlare qualcosa come il mio sacrosanto e inviolabile diritto ad andarmene quando cazzo voglio in un paese che mi ospita a braccia aperte senza dovermi giustificare, specialmente dopo essermi pagato profumatamente quei test che dovrebbero essere gratis, onnipresenti nel tessuto sociale e che a mio parere potevano fermare la pandemia molto prima.
Ma non succede e vogliamo solo andarcene.
Ci ritroviamo in sala aspetto 3 ore prima del volo. Chiamo Carlo: “vai pure che mi sa che andiamo pure noi, muchasgracias amigo!”. Non posso crederci, è cambiato tutto… sono li in quella sala di aspetto ancora incredulo di potermene andare via dal mio paese. L’aeroporto ha la stessa energia grigia, triste ed austera della frontiera con la Germania est che varcavo negli anni ’80 per andare a Berlino lungo il famoso corridoio.
Partiti!
Da allora per 3 mesi investigo da nord a sud. Dalle città ai villaggi chiedo a chi incontro cosa succede da quelle parti, incluso il Covid! Pantxoa alza gli occhi e mi dice di smetterla. Voglio sapere! Cazz! Dopo un po’ smetterò (quasi…) mettendo tutto nell’armadio del “qualcosa non quadra di brutto ma voglio vivere! Ne abbiamo avuto abbastanza, mollatemi, Basta!”
Alcuni qui, dal delta del Nilo a sud tra i Nubiani, dicono che l’Africa è forte, altri che l’occidente forse è un po’ malato.… altri ancora che è una questione di età media, altri che non esiste, altri che dicono che il Covid ha decimato i loro vecchi di un intero villaggio e ancora chi non conosce nessuno che lo ha avuto, o una signora a Philae che mi ha detto di aver conosciuto personalmente una cinquantina di persone tra i caduti… Potrei continuare con genocidio programmato e più o meno tutto quello che ci diciamo in tutto il pianeta ma con la grande differenza che lì la vita non è quasi mutata. Tra quelle genti viene alla luce il carattere di un popolo e molto altro che cercherò di spiegar pian piano.
La maggior parte degli egiziani afferma che ci si cura a casa perché è un influenza e che nelle loro farmacie si da ogni tipo di medicinale, senza passare per medici ed intasare ospedali… Certamente, ho pensato mentre mi venivano degli attacchi di ansia respiratoria a Luxor durante il mio Covid, il panico non viene iniettato quotidianamente fin sul midollo come da altre parti! Non avevo ne febbre ne tosse, i miei polmoni erano ok ma ho avuto lo stesso quell’orribile sensazione, che altro non era che paura. Credo…
Fatto sta, cari Voi, che la vita in Egitto continua con molta più libertà di quel che ci vien propinato o meglio non detto e non solo riguardo al Covid, e pensare che i militari sono ovunque… altra storia.
Non so dove arriverò a scrivere, certo è che dentro mi bollono pagine e pagine. Sono grato alla Vita, al Karma che mi ha portato a vivere una delle esperienze più istruttive e vivificanti degli ultimi anni in un momento così drammatico della nostra storia. Ho imparato così tanto in questi mesi, su tutto. Mi si è espletata e fissata in mente quella mappatura storica che segna i cardini dell’evoluzione della nostra civiltà. A distanza di millenni quella mappa si rivela nel presente del suo popolo, si rivela ad ogni incontro confronto con i suoi usi e costumi, appianando le forze occulte del tempo che ne ha lasciato pressoché intatte alcune caratteristiche.
Aspetto il giusto tempo a scrivere quando viaggiamo, sento quando arriva il momento. Aspetto di aver sfinito, ma credo anche divertito, abbastanza gente con domande su tutto scorrazzando un pò ovunque senza meta precisa, anzi decisamente variabile come facciamo io e quel vecchio bohemian basco quando si parte per viaggiare con molto tempo e, per grazia… anche mezzi a disposizione.
Gracias a Dios! Enchallah, ci andrà bene, dai vamos in Egitto.
Non posso non cominciare affermando che non si può giudicare un popolo dagli atti del suo governo (come per Regeni qui in Egitto), e nemmeno dai misfatti dei quattro balordi assassini della falange integralista. Nemmeno dalla quasi totale maggioranza di tutta l’informazione veloce dell’occidente. Di una società, se non ti muovi e vai sul campo, o te la studi in profondità da casa attingendo da fonti “libere”, non facili da individuare, o non ne potrai sapere un bel niente, e quindi è meglio pensarci bene prima di prendere qualsiasi posizione e diventare burattino del gioco sporco dei media e politica. La tua opinione errata e manovrata può uccidere innocenti.
Prima di partire mi informo molto poco sulla storia del paese che andrò a visitare, giusto qualche informazione pratica.
Per capire un popolo ci vuole così tanto tempo, una vita può non bastare, tanto è complesso l’essere umano.
Molti di noi non si rendono conto di quanto il nostro essere, il nostro carattere, sia legato alle nostre radici storiche. Io credo che la globalizzazione ci abbia allontanati da questa riflessione che trovo via via sempre più importante per comprendere gli eventi del mio tempo.
Allora inizio dal presente, da quello che vedo e annuso in strada, dalle città ai villaggi.
Le cose più importanti le capisci subito quando approdi in un nuovo paese. Capisci come sta quel popolo in quel momento, se è in miseria, se mangia, se dorme, se è teso, se è allegro, represso, sognante, onesto o ladro, aperto o chiuso, altruista, istruito o ignorante. Questo ti da chiaramente anche una prima misura di come sia gestito dai suoi governanti. Poi, una volta assaggiato quel presente, piano piano vado indietro, ne studio la storia, ed è li in quei meandri offuscati dal tempo che appaiono altri elementi in cui risiedono le infinite sfumature del popolo che hai di fronte. Sfumature che tu però non potrai mai capire fino in fondo perché non sono parte di te, non sono nel tuo Dna storico, ma fanno l’enorme differenza tra te e loro. Quella meravigliosa diversità o la si vuol approfondire, ma ripeto può non bastare una vita, oppure sarebbe bello… alzar tutti le mani e rispettare a priori in attesa di approfondire. Siamo tutti sotto lo stesso sole ma siamo DIVERSI. Dovremmo pensarci sempre quando ci mettono in bocca il giudizio su altri popoli in base a fatti economici, guerre, virus o quant’altro. Non si mette la dignità e la sopravvivenza di un intero popolo dentro la letterina che i suoi despoti spediscono ai nostri per i loro fini. Ma soprattutto credo che dovremmo guardarci bene dentro quando di fronte abbiamo un individuo di un’altra nazionalità venuto nel tuo paese. Non ne sai nulla. Rispettalo e basta anche se piscia a testa in giù e crede a mari che si aprono a divino comando…
90 giorni qui in cui siamo stati a stretto contatto con Maya, questa suprema linfa che l’uomo necessita per la propria esistenza dagli albori della sua nascita cellulare. MAYA. Acqua. Dall’oasi di Siwa nel deserto orientale, a sud tra le oasi verso la Nubia e poi sud-est fino al ritornare alla madre di tutti i fiumi dell’emisfero occidentale: Il NILO. Uno dei pochissimi fiumi della terra a scorrere da sud verso nord con un vento contrario alla corrente che soffia da nord-ovest, perfetto! Acqua pulita, feconda e molto fresca (in aprile è ancora molto fredda e loro non entrano nemmeno!). Maya è fresca anche durante le roventi estati che spaccano i 50 gradi. Alle sue strette sponde, racchiuse da deserti aridissimi per 1500 km in suolo egiziano, il Nilo dona tutto. Carne, pesce, frutta, verdure, cereali, legno, acqua. Ombra. Tutto l’anno, ininterrottamente da millenni e millenni.
Tutto perfetto, appunto, per far nascere e fiorire quella che di fronte ai nostri occhi si rivela in quanto tale: la più grande antica civiltà che il pianeta abbia mai visto. Forse, però, si… mai dire mai… chissà… qui scavando ovunque si trova di tutto. Sono bastati una manciata di secoli dalla “fine” della civiltà Egizia per ricoprire e seppellire templi alti 40 metri, figuriamoci cosa può fare… un milione di anni, e 300? Mille?
Nel deserto si trovano tracce dell’era paleolitica, sono li, basta raccoglierle, non credevo ai miei occhi. Molto tempo fa il deserto era verdissimo e prima ancora era mare. Si incontrano alberi pietrificati spuntare dalla sabbia negli immensi spazi insieme a conchiglie, scheletri di balene, utensili umani, uova di struzzo.
Abbiam trascorso un mese tra le sue sabbie.
Il sole consuma ogni cosa, la secca, la polverizza, cancella ogni traccia e la riduce in sabbia, sabbia che soffia con i venti e leviga, liscia o copre per sempre quelle pietre che al tatto sembrano seta preziosa ma che inesorabilmente, sotto Amon il dio Sole, si consumeranno diventando polvere.
Solo Maya può cambiare quelle sorti e far fiorire ogni cosa, tutto di tutto, noi compresi, far diventare la sabbia nuovamente terra viva, umida e fertile. Acqua, Sole, Aria, Terra. Questi gli elementi a cui affidano il loro credo e la loro profonda devozione le civiltà passate creando ogni sorta di Dei che le proteggono e ingraziano. Ma come potrebbe essere altrimenti ci si chiede? Provengo, vivo, prospero grazie a loro. Io Sono Loro. Sono Acqua, sono Terra, sono Aria, sono Sole. Come possiamo dimenticarcene? Stiamo perdendo tutto se lo facciamo, è ovvio, palese, è li in mezzo alla sabbia rovente, è tra quella sabbia, in quella sabbia che lasceremo i resti anche della nostra civiltà se dimentichiamo a chi dobbiamo la nostra esistenza.
Mi sono emozionato e molto rincuorato nel vedere le acque del Nilo tutto sommato ancora molto limpide e incontrare umani che le amano e rispettano ancora oggi come han fatto i loro antenati.
Poi ho rabbrividito sentendo cosa succede più a sud, dove l’Etiopia minaccia di prosciugare la linfa in suolo egiziano con una immensa diga. C’è la minaccia seria di una grande guerra. Qui dicono che potrebbe essere la prima grande guerra che l’umanità vedrà per l’acqua. Ma cazz… il pericolo è molto serio e se non accade qui per il Nilo accadrà da qualche altra parte molto presto. Maya serve, Maya è tutto. La stiamo consumando, speriamo si arrivi presto a una soluzione energeticamente economica per desalinizzare e attingere dal mare, altrimenti son cazzi…
Ho visto un albero secolare solitario nel bel mezzo del deserto esser nato sopra una esilissima esalazione di umidità proveniente dal caos magmatico solidificato del sottosuolo. Avrà avuto forse un migliaio di anni, era un vecchio bestione adagiato possentemente sulla sabbia, contorto e butteroso. Aveva 5 radici che come tentacoli affondavano nella sabbia allungandosi per diversi metri dalla base del tronco per poi alzarsi e puntare in basso, diritte, in perforazione verticale dentro, sotto chissà fin dove…
Di fronte a quell’albero, di fronte a quelle distese di conchiglie in pieno arido deserto, di fronte ai resti di tribù umane, di vegetali pietrificati e ossa, layers sopra layers di cambi climatici e vite umane occorse in lunghi millenni, millenni che non sono altro che piccoli frammenti del tempo che plasma il pianeta da molto molto di più, di fronte a quella evidenza non si può non amare quell’acqua e non si può non capire quanto la nostra esistenza sia esile, piccola, corta, terrena, in balia di mille fattori che la possono polverizzare nell’arco di un tempo che per la grande Madre è infinitesimale.
Nel Gulf Kebir, ai confini con la Libia, è stata ritrovata pochi anni fa una volta gigantesca di roccia completamente dipinta con immagini che ritraggono una civiltà agli albori. Acqua, praterie, animali, uomini, donne, bambini che giocano si nutrono, vivono.
Ora quell’area è uno dei deserti più aridi del pianeta e non vi rimangono che poche ossa e qualche utensile. Quel vissuto per fortuna viene alla luce in quella prova evidente disegnata sui muri che ci comunica così palesemente che Madre Terra muta, cambia, si inverdisce e inaridisce anche senza il nostro operato. Si parla di 10/15mila anni fa. Non poi così tanto no?
Senza Maya non succede niente di niente… solo sabbia, roccia, solo pianeti aridi, lune morte…
Quando dopo ore e ore, giorni di sabbia, sole cocente, vuoto e un silenzio così puro che ti scuote l’anima, ci si ritrova approcciare un’oasi, si rimane abbagliati dal verde. Ci si sente come un animale, un cammello che allunga il passo verso Maya, verso la vita. Si guarda ogni foglia, ogni palma, ogni campo coltivato, ogni frutto come fosse un miracolo.
Da un certo punto di vista, miracolo non è? Io lo percepisco così.
E se fosse che l’universo non avesse né inizio né fine, che non avesse confini, tempo e forma esterna perchè un esterno non esiste? E se fosse che l’universo è quel famoso Dio… e noi le sue cellule, il suo humus? Hai… quanto da imparare, da capire ma siamo qui per questo! Questo è il viaggio della vita, stupirsi ad ogni istante della sua esistenza e se si ha fortuna… credere alla sua essenza divina, credere che non siamo qui nel nulla e per nulla.
Mentre uscivamo dai deserti dopo un mese, diretti al Nilo per centinaia di kilometri in macchina, seduto sul sedile posteriore in quella striscia nera che solca il nulla, ho provato ancora una volta la magia della genesi. Flash di colori solcavano la mia mente come in un viaggio psichedelico, mi si mostravano in sequenze definite convergere al centro… Arrivati a Luxor mi sono ammalato di Covid e in quei lunghi 10 giorni in una camera di albergo ho dato vita a quei colori e creato 6 opere di luce che ho intitolato “Maya”.
Mi ero ripromesso di non pensare, di non fare, di non creare durante il viaggio. È stato un anno molto intenso, quello pandemico, a livello creativo, in arte, in musica, in tutto, ma… al cuor… non si comanda…
Dovevamo rimanere un mese perché il visto dato all’aeroporto dura 30 giorni ma abbiamo saputo a Siwa che non vi è nessun problema per over stay: si paga una multa in aeroporto quando si lascia il paese anche dopo 6 mesi. Quel giorno abbiamo esultato. Me lo disse Jaine, una scozzese che ho incontrato lì, nell’unico bar con una macchina da espresso che ho fiutato credo ancor prima di entrare nell’oasi. Jaine, tra le altre cose, mi ha detto che dopo aver girato per mezzo mondo ha scelto di vivere in Egitto. Noi siam arrivati da poco, non abbiamo incontrato ancora nessun viaggiatore occidentale e di fronte a me quella donna molto bella e vispa, dall’aria vissuta, dai capelli biondi e ricci vestita di jeans e maglietta, mi dice che tra tutti i paesi da lei visitati nel corso di lunghi anni di pellegrinazioni ha scelto l’Egitto. Per lei è il paese in cui si sta meglio. Io sono lì di fronte a Lei e ricevo questa prima sentenza mentre cerco ancora di capire se la polizia ai ceck point mi spara se fumo in macchina……
Nei deserti, se c’è Maya, per coltivare un piccolo orticello ci vogliono anni. Prima si piantano le palme, si irrigano e accudiscono per lungo tempo finché creano un po’ di ombra, poi si semina. Il monito è alle porte, quella sabbia può inghiottirti in qualsiasi momento se non irrighi.
Il Nilo, oltre che a donare Vita, scorre tutt’ora come un’autostrada liquida che percorre tutto il territorio. Il sole splende 12 mesi all’anno. Si raccolgono frutti tutto l’anno. Nascono le prime grandi civiltà e nascono qui sulle sponde del Nilo, del Tigri, dell’Eufrate. Queste sono le caratteristiche ottimali per sfamare le genti tutto l’anno e lasciar loro il tempo e la fantasia per ergere i loro eterni pilastri di arte e poesia.
A quei tempi, millenni fa, in altre parti fredde del pianeta, con un raccolto all’anno, bastavano un paio di carestie per decimare intere popolazioni sul loro fiorire. Ora molti non hanno nemmeno l’idea di come si fa a produrre il cibo che mangiano, c’è sempre e comunque, freddo o caldo, secco o meno. Se vi è carestia in una parte del mondo, il cibo arriverà dall’altra, questo finché scorre acqua e scorre pulita, questo finché Amon, aiutato dagli uomini o meno, non decida di seccarla e noi… con lei.
A Siwa è successo di tutto nel corso dei millenni.
Più di un viaggiatore mi ha consigliato di esplorare l’Egitto nel corso degli anni ma ho sempre rimandato pensando che le Piramidi potevano reggere ancora qualche decennio visto che sono lì da millenni. Foto di tombe, templi, libri e documentari ne abbiamo visti e letti tutti a bizzeffe. Questo paese sembrava aver preso una forma così definita nel mio immaginario da appianare la curiosità di metterci piede. Tutto mi sembrava essere già stato scritto e detto e… anche ballato sull’Egitto. Walk like an egyptian… ma ancora una volta, l’ennesima, mi ritrovo a riflettere sulla mia piccolezza, su questa piccola vita che non basta per capire sé stessi e che cerca, priva di memoria storica e di esperienza, di capire e scrivere la storia della sua umanità della quale non ha nessuna certezza.
Sul grande Nilo tutto questo diventa lampante. Una umanità che trovo ad ogni angolo del mondo ripetersi nei suoi drammi e nelle sue aspirazioni ma che lo fa attraverso infinite sfumature e radicali contrasti. Incomprensibili di fronte ai soli occhi e al sol mordere, ma così profondamente radicati nel loro sconosciuto abisso storico. Uomini così uguali sotto Amon e nelle loro necessità primarie, cosi diversi quando innalzano muri, creano religioni e stampano passaporti.
Allah risponde a questo popolo che osservo ora in questo minuscolo segmento di tempo. Rispetto sempre più l’Islam. Ad ogni viaggio nelle sue terre cresce in me la stima nei suoi confronti, ci sto molto, molto bene. Purtroppo cresce anche la rabbia e la delusione per come ci viene erroneamente proposto dal monopoli sadico e sensazionalistico dei media della nostra civiltà. Sono sempre più compiaciuto e contento, esplorandolo, nel constatare che l’Islam sia una religione di pace e che trasmette a chi lo vive intimamente, per come realmente insegna, dei principi di convivenza sociale, amore e poesia che l’occidente attualmente può tranquillamente invidiare. Tutte le religioni e filosofie nascono con quell’intento ma gli uomini sono ancora animali, la mente è grossolana e con o senza religioni fanno lo stesso. Fanno branco. L’Africa è stata deturpata da chi sappiamo, soprattutto grazie alle sue lotte interne tra tribù, famiglie, etnie o come si voglia chiamare il “branco”. Faide che strumentalizzate, armate e imboccate hanno portato al governo i peggiori despoti di questi anni.
Vi scrivo dopo una settimana dall’inizio del Ramadam in tutto il mondo islamico. Qui in Egitto convivono Egiziani, Nubiani, Berberi e Beduini.
Sono popoli alla radice molto diversi ma mussulmani. Convivono in questo suolo insieme ad una grande comunità di cristiani copti ma anche pochi ebrei, ortodossi e armeni.
L’islam qui non è politicamente imposto come nel grande Iran dove molto probabilmente è rifiutato intimamente proprio per questo. Gli egiziani, pur avendo al potere un governo militare, si sentono liberi, difficile da credere leggendo la nostra stampa malata, sorprendente sentirselo dire ad ogni angolo del paese dal suo popolo. Ma questo è Egitto, non è Arabia Saudita, non è Yemen, Algeria, Sudan, Indonesia etc.
I popoli sono diversi e vivono diversamente anche lo stesso credo. Sono meglio, sono peggio… sono diversi e basta. Siamo in Africa, paese martoriato da mille problemi che tutti dovremmo sapere quando raccogliamo i cadaveri nei nostri mari.
Il mio punto di vista nell’osservare questo popolo ne tiene conto, guardo chi sta meglio e chi sta peggio in quel continente e questo paese riserva molte sorprese. Se ripenso ai primi viaggi della mia vita e li scorro mentalmente, posso dire che per fortuna è vero: stiamo meglio di 30 anni fa.
Quasi ovunque. Fame e miseria purtroppo esistono indegnamente ancora, ma molto meno.
Cresciamo, serve acqua.
Prima volta che vivo il Ramadam tra le sue genti. Ancora una volta ho imparato molto, ho capito cos’è, come viene vissuto. Il 23% della popolazione mondiale è mussulmano, per 30 giorni all’anno ne segue i precetti, chi più chi meno a seconda della propria volontà È una cifra importante, un quinto della popolazione mondiale! Merita il mio indugiare già che ci sono… dettagli e origini del Ramadam sono scritti ovunque e me li sono studiati ma preferisco scrivere di questo ascoltando e riportando la voce di strada.
Quando me lo spiegano hanno quasi tutti una luce molto viva nello sguardo. Ci credono, sono orgogliosi del loro sforzo di astenersi dall’alba al tramonto dal bere e dal mangiare. Nel mese di Ramadam non si va da nessun parte. Si sta in famiglia e ci si ritrova baldanzosi a banchettare alla sera con parenti ed amici.
Già non c’è quasi nessuno in giro dei “nostri” per il Covid, durante il Ramadam ancora meno! Ti dicono che fa molto bene, che ti rinforza nel corpo e nello spirito, dicono che è un mese in cui si sentono più vicini al loro Dio che li mette in una condizione di stress per ricordare loro il valore dell’impegno, della sfida contro gli istinti ma soprattutto, della solidarietà verso chi non ha. Il Muezzin, il richiamo alla preghiera si ode ovunque. Come un mantra le preghiere vengono cantate da radio e televisioni. In ogni macchina in cui saliamo esce dalla radio, in ogni ristorante e negozio, tutti sono sintonizzati sulle onde coraniche.
Pregano di più durante il Ramadam e donano cibo a chi ne ha bisogno. Ho visto lunghe file di tavoli nella via principale di Dahab. Tutti, all’imbrunire, sono invitati a sedere e mangiare quello che viene offerto dai gestori dei locali. Ma succede ovunque, dai cortili delle case alle vie di paesi e città. A volte scherzo con loro e guardandoli intensamente e con fare scherzosamente inquisitorio chiedo: do you do it? Sure sure? 100 per cent? Se entro in quel modo nella loro sfera la reazione è quasi sempre molto seria ed affermativa, ma non mancano ammiccamenti che lasciano intendere che c’è chi “perfetto” non è…
Personalmente non affido il mio credo né all’Islam, né al cristianesimo, protendo ad est, alle terre del Karma, sempre più ma il mio pensiero evolve a riguardo.
Ogni giorno ad ogni incontro ravvicinato con credenze diverse dalla mia mi sento graziato ad averne una. Ho una rotta ed un timone, non so veleggiare come vorrei e mi incaglio spesso nelle secche del mio essere imperfetto, nei miei vizi, nel mio ego, ma non mi sento più figlio di un aminoacido e di un casuale drenaggio cellulare del caos cosmico. Ho un punto fermo, una luce che cerco quotidianamente nel mio imperfetto cammino. È lì, è viva e pulsante e mi spinge a stringere le mani a quel timone ed affrontare i venti impetuosi. Ho una rotta e so di non veleggiare in un mare infinito. Ė stata l’India a rivelarmela. La morte non mi spaventa…
Pochi giorni al Cairo e pochi ad Alessandria. Per quanto l’impatto con delle città “libere” possa essermi piaciuto, le grandi città ci stufano e stancano molto presto. Finiti i musei, i monumenti, i suk e anche le periferie, sono quasi tutte uguali, rumorose, inquinate, tese. L’intelletto dei suoi abitanti è dimentico delle proprie radici e vive isolato dalla natura, non fa per me.
Vogliam stare con Madre. Come sempre. Sotto il sole, vicino a Maya, tra Maya, sotto la volta stellata dove guardar a quel ciarlatano di Orione, mio grande amico e confidente…
Oasi di Siwa. Grazie Antonella Guarnier che mi ha spinto fino a qui.
Maya sgorga in mille temperature, colori e gradi di salinità nell’oasi di Siwa, nel deserto orientale. Situata a 300 km a sud della costa mediterranea nel bel mezzo di un deserto. È remota. 30.000 abitanti per lo più Berberi.
Quando si arriva, dopo ore e ore di strada nel deserto, si rimane esterrefatti. Acqua ovunque. Laghi salati, laghi dolci, antichissime pozze di acqua cristallina che sgorga dalle sabbie venendo alla luce dopo aver trascorso millenni nel sottosuolo nel lungo e tortuoso cammino dall’equatore; Maya si dona all’umanità in una fragranza e purezza che mi ha ammaliato per settimane e alla quale, enchallah, tornerò in autunno.
Campi coltivati, frutta, verdura, ogni cosa si trova in quel suolo Berbero che ha visto di tutto nei millenni, tanto da conservare i resti di quello che l’ha resa famosa dal mondo antico fino ad oggi: Il tempio di Amon con “L’oracolo di Alessandro” ma anche la pozza di Cleopatra e molto altro.
Siwa ha destabilizzato e scandalizzato… in tempi recenti quando, ai primi dell’900, degli esploratori europei vi arrivarono cercando di metter insieme i tasselli di grandi eventi occorsi nella sua storia, dalle migrazioni delle prime tribù organizzate all’esercito persiano di ottantamila uomini che, se esistito, sembra essere scomparso nel nulla, o ad Alessandro che lì venne per farsi incoronare faraone. E a Cleopatra che dicesi venir qui a bagnarsi in quella pozza di cristallo vivo e pulsante nella quale mi sono bagnato all’alba di ogni mattino trascorso a Siwa.
Sono 120 le pozze di acqua a Siwa. Io non so quanta gente vi si bagni in tempi “normali” ma so solo che nella pozza di Cleopatra all’alba ero sempre solo. Avrà un diametro credo di una quindicina di metri e profonda credo 10. È un enorme pozzo di pietra con dentro il nettare degli Dei. 32 gradi costanti. Fresca nei giorni roventi, calda nelle fredde notti e all’imbrunire. È di Cristallo, è così trasparente e pura da farti togliere i vestiti in fretta e furia e gettarli a terra per poi gettarti ciecamente e fiduciosamente tra il suo smeraldo scintillante. Ha un sapore che mai ho provato prima, è dolce, armoniosa, ammaliante.
Rimanevo ore immerso, mi sentivo fluttuare come in un liquido amniotico, primordiale, puro. Dal fondo emergono torreggiando dei flutti di bolle d’aria che brillano come diamanti, avvolgono il tuo corpo picchiettando sulla pelle. Si rabbrividisce di piacere, dal profondo la terra alita il suo respiro sulla carne viva dei suoi creati. Questa la sensazione, difficile non ringraziare profondamente.
Tornando agli esploratori che giunsero a Siwa, questi trovarono una società mai vista e nemmeno sentita prima di allora, tanto è isolata dal resto del mondo.
Trovarono uomini che combattevano fino alla morte per gelosia contendendosi gli sposi. Uomini!! Si sposavano tra loro! Ha ha… non lo sapevo finché vi abbiamo messo piede e mi è stato ampiamente spiegato da un italiano che vive lì con la moglie francese.
Nel mondo accademico europeo di quel tempo la notizia ha fatto un rapido giro di sorpresa. Poi, dopo esser passata al setaccio dal “buon costume” soprattutto islamico, è stata scandalosamente rifiutata, si è cercato di far sparire libri e testi, si è censurato e condannato. Ma Siwa era così e guardando alla storia di molte civiltà, inclusa quella faraonica, si è visto che cancellare e o modificare la storia è successo ampiamente ed era anche molto facile: bastava cancellare il nome dell’indegno dalle steli o non scriverlo sui papiri e sui libri. Non va dimenticato che molta della storia che leggiamo di quel periodo inscritta su templi e tombe è stata scritta dalle mani degli scriba che indubbiamente seguivano per filo e per segno le volontà dei Faraoni.
Di cosa pensasse veramente la gente comune non si sa molto, ma si intuisce osservando la vita rurale immutata da millenni lungo le sponde del fiume madre, il Nilo è donna.
Una prova delle grandi censure l’ho avuta oggi stesso qui a St. Chaterine. Parlando di storia e tradizione con un tipo del Cairo seduto di fronte a me che sembrava saper molto del suo paese. Si è arrivati a parlare di Siwa e lui non sapeva niente di quei fatti. Mi ha guardato un pò di bieco dicendomi che non crede siano successe tali cose… e che non le ha mai sentite nominare su Siwa. Come mai mi dice questo? Non lo sa? Perché? Non sa che c’è una vasta documentazione recente e da più fonti al riguardo? Ah... è proprio vero allora. La censura esiste eccome, ed esiste da molto molto tempo. Non glielo dico… in quel momento una ragazza ucraina seduta alla mia destra, apparentemente sveglia… e convertita all’Islam da poco, mi ha ripetuto con quasi disgusto che sono cose contro natura, inammissibili. A quel punto le ho detto con tatto, ma abbastanza seraficamente, che nella mia opinione contro natura è giudicare in quel modo cose che esistono in natura da sempre, create con lo stesso amore dal suo stesso Dio, e poi… mi son fermato. Mi vien voglia di dirgliene altre 100, mi vengono in mente delle battute così terrificanti da farmi ridere in seguito fino a sera, ma non la odio, giuro! Respiro… mi trattengo. Bravo… certo è che le battutacce mi vengono…
Non forzo mai la mano su questi argomenti nei paesi in cui questo dogma è ancora tabù e non mi incazzo quasi mai con le persone che non capiscono. Cerco di sbollire il tutto in altro modo, come scrivere ora di questo, mi aiuta a tener una rotta e a informare chi mi sta leggendo. Capisco che ogni cosa ha il suo tempo e il miglior modo per evolvere è la comunicazione, lo scambio costruttivo con fermo intento di pace. Voglio credere che quel signore del Cairo sia andato subito a cercarsi notizie a riguardo e stia riflettendo.
Sergio è uno dei tanti “malati” di egittologia. Il Karma mi avvicina per misteriose vie a personaggi che desidero incontrare. Nelle settimane di permanenza a Siwa lo avevo sentito nominare spesso. Un italiano che vive qui e che ha aperto una libreria museo nella vecchia cittadina/medina costruita di fango tre secoli orsono. Shali, così si chiama, cadde, implose sotto una rara pioggia durata più del normale.
Una sera da Abdul, ristorante, siamo entrati e ci siamo seduti a un tavolo. Un signore alto dai capelli lunghi e bianchi ci osservava e poi dopo un pò ha voluto conoscerci. Era lui. Sergio. Sergio è uno studioso “sgaio” che si è innamorato dell’Egitto. Passeremo delle belle ore assieme e sarò incantato dai suoi racconti. Capirò con lui, e in seguito da dei “tombaroli” simpaticissimi, cosa vuol dire vivere in questo suolo che cela ovunque immensi tesori.
Il mio viaggio in Egitto inizia lì, a Siwa.
Troviamo una bella guest house tra il verde pulsante e ci installiamo. La casa è di Ahmed, un ragazzo del Cairo, discepolo seguace del Sufismo. Insieme a lui, Mo e suo padre Iman, sempre del Cairo, passeremo delle belle settimane.
Siwa è ermetica, un po’ come tutto l’Islam. È molto difficile capire cosa succede dentro le case dei suoi abitanti. Per strada vedi veicoli tipo carretti motorizzati guidati da bambini di 5/6 anni. Il più piccolo della covata ha questo compito, quello di guidare e portare di qua e di là la sua famiglia e le sue cose. Fa impressione vedere questi piccoletti sfrecciare come diavoli nelle strade sterrate con molto spesso un carico di donne completamente coperte di nero. Quelle donne sono moto difficili da approcciare in tutto l’Egitto. Sembrano vivere in un mondo a parte. Tutto ciò che riguarda i servizi viene espletato quasi esclusivamente dagli uomini: pulizia e menage di hotels, bar e ristoranti. Nelle città le donne si vedono lavorare nella logistica, uffici, banche etc. anche come taxiste, come ad Alessandria.
Da viaggiatore, quindi da passante diciamo, si hanno poche occasioni di interagire con loro e se si vuol fermarsi a questo impatto visivo, allora, la mannaia del nostro giudizio brilla nelle sue lame taglienti e si è smaniosi di scagliarla contro tutto l’islam. Perché non fate come noi? Perché non siete come noi occidentali? Noi siamo liberi, voi no, vien da pensare…
È vero, non siamo come voi, siamo diversi ma diverso vuol dire diverso e basta, né meglio né peggio!
Io stesso nel vedere quei carretti con quelle donne che sembravano pecore nere portate al mercato sono rimasto in principio forse… indignato. Se vieni portato in gruppo una settimana a vedere l’Egitto, o un altro paese islamico, tornerai con quella stessa “indignazione”. Quella è l’immagine che fotografi e molti spiattellano nei loro racconti ai loro amici. Anzi cercherai proprio quello scatto, come lo cercano i “paparazzi” dei nostri media che in quanto a libertà e sopratutto in quanto a etica sono verso il fondo della lista.
Tornerai con il trofeo, una bella foto, un carretto con un carico di merce nera, donne delle quali molte volte non vedi nemmeno gli occhi perché sono coperti da occhiali appoggiati sopra il velo. Bello. Di impatto,grande foto!
Ti crederanno e.… voteranno. Ma non è così come sembra. No no…
Questa società in cui tutto si fa ma non si mostra in pubblico può sembrare ipocrita e ci ho messo un pezzo prima di scalfirne la superficie e capire qualcosa. Non so da dove cominciare questa mattina a metter in parole questo tema così vasto e complesso ma voglio provarci perché, nel mio piccolo mondo del secondo millennio, i “branchi” continuano ad azzuffarsi come belve. Nel mio piccolo mondo cadono grattacieli e i miei mari sono pieni di cadaveri lasciati in acqua come foglie secche. È mio dovere, in queste piccole lettere raccontare di tutto ciò.
Sono uomo di pace e per la pace. Sempre…
Se parlo di diversità è perché ne so qualcosa. Sono nato “diverso” in un paesino veneto di 2000 abitanti in mezzo ad una valle negli anni settanta. Potrei scagliarmi contro questi popoli islamici perché lì i miei diritti non vengono nemmeno considerati anzi, soppressi sul nascere, ma non è ciò che vorrei. Gli strati che compongono una civiltà sono molti, ogni cosa ha un suo tempo, per evolvere la nostra persona attraverso la conoscenza ci vuole anche molto impegno e non tutti, oltretutto, ne hanno voglia… la pigrizia è una brutta bestia…
Ho vissuto tre mesi in cui “l’imperfetta” umanità di questo popolo mi ha stupito e conquistato ogni giorno di questi lunghi mesi. Ho incontrato credo 3, 4 persone tra le centinaia con le quali ho interagito che mi hanno in qualche modo infastidito.
Sono onesti gli egiziani, lasci porte e finestre aperte quasi ovunque, puoi dimenticarti soldi e telefono sopra il tavolo di un ristorante o in qualsiasi posto ed è lì che li ritroverai. Ti senti sicuro in ogni angolo.
All’inizio infastidisce parecchio attraversare continuamente i check points della polizia che sono ovunque fuori dalle città. I militari controllano tutto in questo paese, dalle risorse alla stampa. Mi ci vogliono settimane prima di capire… Chiedo spesso in giro come stanno, se si sentono liberi ed in che misura. Se non lo facessi tornerei da questo viaggio con un’opinione incompleta perché come straniero ti senti in una botte di ferro, qui se sgarran finiscono nella sabbia, ci dicono loro stessi.
Per spostarsi sia nel deserto e da una città all’altra o usi i mezzi pubblici o molto spesso usi il trasporto privato che funziona molto bene, specialmente ora che non c’è nessuno! In ogni caso il tuo passaporto viene chiesto. Sanno tutto, dove e con chi vai. Sanno dove sei. Cazz, preoccupante… ma la medaglia ha anche un altro lato… Come tutto. Yin e Yiang.
Anche loro si sentono sicuri. Mi dicono quasi tutti che si sentono molto liberi e che le cose funzionano bene, tutto sommato. Quelli che lavorano con il turismo amano il defunto ex presidente Mubarak che in quegli anni ha portato il turismo in Egitto ai suoi massimi, quasi tutti gli altri dicono che stanno meglio ora con questo governo militare che aiuta il popolo. Mah… non so che dire… fatto sta che il servizio che ti dona questo popolo nel quotidiano, la sua onestà, il suo altruismo, la sua gentilezza, simpatia e bellezza sono a dir poco disarmanti per chi come me viene da una civiltà in cui questi pilastri di convivenza sono stati ormai freddati e sono inabissati e quasi estinti nella sua stessa propagandata… “grandezza”.
Mi affascina da morire il tipo di scambio, approccio che si ha con le persone nel mondo islamico, mi fa stare bene. Difficile da spiegare come ci si sente quando incroci gli occhi di qualcuno e inizia uno scambio di informazioni, qualsiasi esso sia, da cliente a commerciante o incontro casuale in cui ci si dice ciao chi sei. Con loro non é mai distratto e superficiale. Ci si guarda molto più profondamente e prima di ogni altra cosa di cui si debba discutere, ci si osserva come uomini, persone, ci si scruta a vicenda mettendosi nello stesso piano. Siamo così freddi da queste parti… mi spiace ma é così. Siamo dei velociraptor, diritti al punto, alla meta, divoriamo tutto, voraci, asciutti e senza pietà. Non ce ne rendiamo nemmeno conto.
In questa società si fa di tutto, ma non si fa in pubblico.
In un caffè di Siwa, dove ci troviamo spesso a bere uno dei miei tanti espressi giornalieri, lavora Fatima. È li che prepara di tutto, dai succhi ai sandwich, veste da ragazza “occidentale”. Ragazza madre. Lavora tendendo in braccio quasi sempre la sua bambina. Viene da Alessandria. Insieme a noi, seduti in quelle sedie vi sono altri egiziani e berberi, giovani e meno giovani, alcuni son scappati dalle città per isolarsi in quella Oasi berbera e coltivare e produrre cose. Saponi naturali, olio d’oliva, datteri, pomodori etc. Fumano tutti in quel terrazzo e non solo sigarette… saprò in seguito che oltre il 70% della popolazione (per alcuni il 90) fuma hashish e gangia. Saprò in seguito che la quasi totalità dei beduini e moltissimi altri egiziani e nubiani fanno uso di oppio. Questo succede da millenni, ma non se ne parla… si fa e basta. In privato, ovunque e apparentemente senza eccesso. La chiamano Santità l’erba in sud America. A ragione direi, se fa far tutti quei sorrisi che trovi in giro…
A Siwa siamo stati invitati ad un matrimonio. Sconvolgente ciò che vedo. Sono tutti uomini, le donne festeggiano da un altra parte… Tutti sono seduti per terra nel tendone. Un gruppo suona musica etnica difficile da capire, ritmo e melodie ai miei orecchi sembrano provenire da altri mondi… sembra stridula, atona e quasi fastidiosa. Con delle ceste si distribuiscono frutta e lattine di Coca Cola e acqua. Vengono lanciate per terra ai piedi di ogni gruppo. Insieme ad una bottiglietta d’acqua mi arriva tra le mani una pallina, è ashish. Palline per tutti, giovani e vecchi. Non ho parole, solo un gran sorriso…
L’alcool non è di uso comune in questa società, si trova e si beve ma molto poco. Quando viaggio mi astengo per lunghi periodi e mi fa molto bene… Vivo in una società in cui è di uso comune, se non c’è non c’è festa. È abusato, giustificato e monopolizzato dallo stato. È una brutta bestia e fa molti più danni se di danni si vuol parlare.
Di fronte le rovine di Shali, seduti su quelle sedie si osserva la quotidianità dell’oasi. Mentre Fatima mi serve il caffè con la sua camicetta bianca e la bimba in braccio, nella piazza sfrecciano i carretti con le donne in Burka sul cassone. Alla mia sinistra delle ragazze del Cairo che aspettano l’autobus hanno il cellulare in mano. Tacchi a spillo, rossetti, trucco e seno bello tosto, coperto a malapena da corpetto nero in pizzo. Belle. Bellissime! Guardano le “nere sul cassone” alzando lo sguardo ogni tanto. Nulla di nuovo. Loro sono così, le altre pomì. Queste scene sono ovunque in Egitto. Loro vengono da famiglie in cui questo non è più tabù. Per loro i tempi son cambiati, per quelle donne forse no, ma se pensiamo che siano tutte represse, sottomesse e obbligate a vivere con quel velo ci sbagliamo ancora una volta. Alcune di loro (quelle in nero) guarderanno a quei vestiti, ai quei tacchi e a quei corpetti con invidia, molte altre con disgusto. Tutto dipende dalla loro estrazione sociale e dal loro carattere come succedeva da noi qualche decennio fa. La famiglia in questi popoli conserva ancora fermamente il comando. Dipende dal tuo Karma, dove sei nato e cosa diventerai, o meglio cosa hai la possibilità di diventare.
In un bar del Cairo vedo due ragazze gay, sono per mano. Quando escono per strada se ne guarderanno bene.
A Siwa e nella forse maggioranza del paese, specialmente nelle zone rurali, le donne non lavorano. Accudiscono i figli. Ne fanno ancora molti, mi si dice che se la passano molto bene perché quando hanno 3|4 anni i figli sono già piccoli adulti. Guidano carretti e accudiscono i più piccoli, tagliano legna, fanno, brigano. Le donne poi… fanno ben poco mi vien detto.
Nelle rare occasioni in cui le senti urlare ai mariti capisci subito chi comanda in casa. Ne ho sentita una qui a Dahab, giusto ieri. C’era mezzo quartiere in silenzio, non fiatava nessuno.
Khaled mi dice, nelle rarissime occasioni in cui se ne parla (ci vuole molto molto tempo e molta confidenza prima di parlare di sessualità e molto altro), che proprio quelle che hanno coperti anche gli occhi da occhiali messi sopra al velo nero corvino sono le più fantastiche a letto. Me lo dice con il fuoco negli occhi, mi dice che si diverte un sacco… rimango esterrefatto. Ai miei occhi sembrano intoccabili, le vedo di sfuggita e non vedo un solo millimetro di pelle di quegli esseri. Mi sento intimorito solo a guardarle, pensando di prendermi anche una randellata sia da loro che dai loro uomini…
Ma cosa ne so io passeggero viandante di questo popolo? Molto poco. Qui l’apparenza inganna più che altrove, non appena trovi il coraggio di insistere con lo sguardo, quel fuoco però lo vedi trasparire più vivo che mai sotto quelle lenti e lì inizi a divertirti… tutto si fa, nulla si mostra.
Chissà come sono in profondità questi Egiziani Islamici. A me non resta che descrivere ciò che vedo in 3 mesi di viaggio, un pò di esperienza ce l’ho per potermi permettere di esprimere qualcosa a riguardo, ma da lì a dire che conosca questo popolo ce ne vuole.
È ipocrita questo islam? O sono gli stessi uomini imperfetti come noi che vedo ovunque? Cosa è, qual’è questa grande differenza tra noi e loro che continua a provocare tanto scompiglio nel mondo? Come trattano lo straniero? Beh, potrebbe già bastare per dire che noi siamo lontani anni luce.
Ho modo di approfondire il tema donna in varie occasioni. Marzia, una italiana che vive ad Aswan e si è sposata con un Nubiano, ha degli occhi elettrici, bellissimi. Donna di carattere, nata sui monti abruzzesi era venuta ad Aswan per lavorare a un progetto culturale poi arenatosi per mancanza di fondi. Laureata a Venezia in lingue orientali si è innamorata di Obama e hanno avuto due figli molto belli. Insieme gestiscono una guest house sull’isola Elefantina dove passeremo diverso tempo e dove avremo modo di scambiare molto. Marzia mi dice che si sente totalmente libera in quella società, un mattino mi dice: “qui non mi sento giudicata”. Non posso non crederle osservandola nel quotidiano nel suo orto pieno di spezie.
Vanno in Italia tutte le estati quando l’Egitto è rovente e il turismo scema. Obama è Nubiano, è un tipo pacato ma dai suoi occhi traspare la storia del suo popolo. Fa parte di una delle due “famiglie” che vivono nell’isola da millenni. Duemila persone risiedono ad Elefantina. Mille una famiglia, mille l’altra! È orgoglioso del suo popolo e attaccato alla sua grande famiglia. Molti Nubiani di Aswan sono Rasta. Bob Marley si vede stampato anche sulle vele delle Feluche, fumano molto tutti quanti, sono attacatissimi alla loro cultura e si sentono diversi dagli Egiziani. “Quelli” non vivono ad Elefantina, afferma Obama, sono “over there in the other side”. Il mio sguardo va oltre i suoi occhi, attraversa il Nilo in appena qualche centinaio di metri e si posa sui palazzoni di Aswan. L’Isolotto di Obama è un micro cosmo. Nubiani da una parte, Egiziani dall’altra. Potrebbero quasi prendersi per mano ma sono diversi e preferiscono stare con il loro sangue. L’Africa è tribale, molto tribale…
I Nubiani sono popolo pacifico e ne fanno bandiera, parlano sottovoce tra loro, Marzia e Obama parlano così piano, mormorano appena, sembrano comunicare con battiti di ciglia, è la prima cosa che mi dice Pantxoa di loro appena arrivati.
Conosciamo alcuni loro amici e parenti. Uno di loro, Ahmed, uomo molto molto simpatico e dolcissimo ha una grossa cicatrice da taglio sul viso e credo di intuire che quando le famiglie si incazzano è meglio darsela gambe…
Obama mi fa sorridere quando al mattino mi prepara la colazione; parliamo della vita, è un piacere star anche con lui e al mattino siam soli perché la colazione è compito suo. Io mi alzo all’alba tutte le mattine, lui sente la porta della nostra stanza aprirsi. Sa che me ne andrò sul tetto per un’oretta ad ascoltare quella cosa che qui chiamo timone…
L’alba su Elefantine è uno spettacolo. Il Nilo riflette il colore del suo perenne cielo blu, delle sue rocce così lisce e accomodanti, consumate dal tempo e consumate dagli incessanti passi della storia, riflette il verde dei manghi, delle palme e il giallo delle sue sabbie, ora bianche, ora arancioni, ora nere…
Quando scendo dalle scalette a chiocciola trovo la colazione pronta sul tavolino basso in quell’enorme terrazzo affacciato sul Nilo.
Sorrido quando Osama mi racconta in un buon inglese del suo primo viaggio sulle montagne abruzzesi, terra della sua Donna. Mi mima il suo terrore per quel freddo gelido e quella neve che gli sbarra la porta di casa. Rido molto. I Nubiani hanno la pelle nera e senza Amon il loro sangue non scorre, potrebbero morire ancor prima di spavento in quel freddo che non possono nemmeno lontanamente immaginare di poter sopportare se non per pochissimo tempo e solo per amore… Non esiste, dice in maniera così spontanea, che possa vivere in un posto freddo. Qua abbiamo tutto mi dice ancora. Abbiamo l’acqua fresca e pulita sotto casa, una barca, abbiamo gli alberi enormi di mango che ombreggiano le nostre case e i nostri cortili e ci nutrono in estate, abbiamo tutta la frutta e la verdura di cui necessitiamo tutto l’anno, il fiume mi da il pesce, le galline carne e uova, le capre carne e latte. Dove vuoi che vada, mi sorride, ho tutto, non manca mai.
Una mattina mi dice che Marzia un tempo si preoccupava se arrivavano pochi turisti e gli diceva: che faremo? Come faremo a vivere?
Sorride in purezza quando mi racconta che le rispondeva come aveva appena fatto con me: di fame, ad Elefantine, non è mai morto nessuno da quando è nato il mondo. Non è l’unico a dirmi tutto questo, sono molti, forse quasi tutti quelli che vivono sulle sponde del Nilo. Tutto questo è arrivato fino a noi ora, tra le parole di Obama, ma quelle parole non sono un racconto tramandato, riflettono invece una certezza quotidiana narrata dalla storia come una caratteristica di quel popolo. In suolo d’Egitto i figli del Nilo e di Amon hanno sempre creduto di vivere nel posto più ospitale e bello del pianeta ed è per questo, si narra, che non hanno mai avuto grandi mire espansioniste. Stavano bene così e basta…
Di fronte ad Elephantine, subito dopo la sponda del fiume, il deserto si ferma come un ghiacciaio. Il fronte sabbioso è un muro giallo, chiedo ad Abu se ci è mai stato dentro quel deserto che posso quasi toccare con mano dalla mia finestra tra i manghi. Mi dice di no. Abu ci porta in feluca come han fatto i suoi avi da tempi immemori. Mi sconvolge la sua risposta, allora guardo quel deserto con i suoi occhi e capisco molte cose…
Ma cosa penso di tutto questo? Penso che l’equilibrio di ogni uomo risieda solo nella sua essenza, nel fulcro della sua spiritualità, nella sua genesi. Penso che l’equilibrio possa essere trovato e vissuto in qualsiasi situazione, in qualsiasi società e luogo dove non vi sia la fame e la miseria, la guerra o il karma a corroderne le sponde. Penso che non sia cambiato assolutamente nulla in tutti questi millenni di evoluzione umana, perché quel centro non si muove in nessuna situazione, non ha spazio e tempo. È li con te ovunque tu lo porti, è lì se lo cerchi, è li dove lo troverai sempre. È uguale per tutti gli esseri ovunque essi siano da sempre e per sempre e li rende tutti uguali. Ognuno lo chiami come vuole.
L’egittologia è nata poco tempo fa, fine ‘700 inizio ‘800, quando gli Europei tra i quali molti ora famosi italiani, vennero a scavare e trovar gloria e tesori tra le sue sabbie che stavano inghiottendo tutto. Con l’avvento del Cristianesimo la civiltà si spense drenando nel primo millennio. Finì e questa umanità visse grandi cambiamenti, artisticamente direi… involutivi… che hanno lasciato per secoli e secoli le sabbie inghiottire i resti di quella civiltà ben più grande ma che volgeva la sua anima ad un credo diverso, non più accettato, anzi, bistrattato e lasciato svanire quasi nell’oblio. Nel tempio di Edfu sono rimasto scioccato nel vedere migliaia e migliaia di sublimi basso rilievi cancellati dagli scalpellini della nuova era. I “cancellatori” della prima, mi vien da chiamarla, inquisizione del neonato cristianesimo.
Che strana sensazione essere lì, a Edfu soli in quel tempio dedicato a Horus, sotto colonne interamente scolpite e colorate di colori ancora vivi e lucenti dopo 2000 anni. Sono possenti, gigantesche quelle colonne e vanno su, su in alto per 37 metri, per fiorire in cima come delle calle con decori dai quali avrà sicuramente attinto il Liberty e l’Art déco. Colonne che sostengono tetti fatti di immense lastre di granito che pesano come un jet, tetti che erano dipinti interamente di stelle su di un blu eterno, in alcuni scorci di molti templi, un blu intatto. Sono salito di nascosto su quel tetto, accompagnato da un guardiano che ho ritratto in una bella foto. Gli ho chiesto se poteva lasciarmi solo, dopo un pò è venuto a me ed aveva negli occhi una strana ed intensa luce. Mi ha detto: lo senti anche tu? Chiude gli occhi, Io lo sento è su di me, Amon. Era sincero ed ispirato.
Duecento anni fa le sabbie ricoprivano quel tempio fino al tetto e si iniziavano a costruirvi case. Quegli dei non valgono più nulla. Ho provato un pò di tristezza a veder un dipinto in cui si ritraeva la scena apparsa agli occhi dei primi ricercatori europei. Era una scena di vita quotidiana di quel tempo, l’enorme complesso è quasi interamente sotto la sabbia, sul solido tetto ci sono capanne di paglia, si può scendere scivolando sulle dune di sabbia che lambiscono le colonne. Tra di esse due uomini vestiti in bianco si scambiano merci, hanno il tetto del tempio appena sotto le loro teste. Ancora un secolo e la sabbia se lo sarebbe portato nell’oblio insieme a 5000 anni di storia e devozione. Abbiamo avuto l’immenso privilegio di entrare nel silenzio di quei templi, sia ad Edfu che ad Abu Simbel che a Philae. Il fulcro del tempio egizio custodisce l’apice della credenza di quella civiltà. Se non ci fossero luci si sarebbe al buio li dentro. Il silenzio è potente, si capisce che era voluto, il granito è così spesso da piegare e spegnere ogni onda sonora. Si scrive di tutto sull’Egitto, io credo che cosa celasse quel silenzio non sia giunto fino a noi.
Non è mai stato trovato niente di così possentemente alto e ancora con il tetto praticamente intatto nell’era umana, né prima né dopo gli Egizi. Per alzare un peso come quello dell’obelisco incompiuto che ho visto ad Aswan, bisogna ancorare una gru da grossi cantieri su di una fondamenta di cemento armato grande come una casa! Quando sei ai piedi dell’obelisco scavato e modellato dentro la pietra su di una radura, lo capisci da solo senza saper niente di fisica che è impossibile. Impossibile alzarlo, muoverlo, caricarlo su una barca, scaricarlo, portarlo a centinaia di metri e metterlo in piedi. Impossibile senza una tecnologia o …una qualche alchimia? Tra i vari documentari e informazioni che cerchiamo io e Pantxoa durante i viaggi nella storia come questo, ne abbiam visto uno che ci ha colpito di più, perdonate non saprei ricordare di chi è. Beh, in pratica dice che osservando le strutture dei templi in varie epoche , dalle piramidi egiziane a quelle azteche, ed altri ritrovamenti… si vede che c’è un’involuzione nella tecnica costruttiva. Sostiene che durante la storia si sia smarrita, o sia venuta a mancare una tecnica, un’energia, una macchina, un qualcosa che ne so, un Godzilla che oltre a muovere a suo piacimento pesi biblici poteva anche tagliare angoli e levigare granito e alabastro con precisioni tuttora difficilissimi da ottenere. Forse un’Alchimia? Una formula che attivasse un qualche processo fisico? Tra le varie opinioni, questa mi piace…
Non è scritto ancora ufficialmente da nessuna parte, nessuno può oggi dichiarare con sicurezza come si sia potuto fare tutto ciò.
Questo per me basta ed avanza per farti sentire molto piccolo in quei templi. Non si ha nemmeno la certezza di cosa custodissero sopra la barca rituale, il fulcro centrale del credo del tempio custodito in quel silenzio mistico. Quei carri meravigliosamente belli, d’oro intarsiato, scavato, piegato sono lì di fronte a te, ma sono vuoti, vuoti del loro spirito.Chi era veramente?
Più cerchi di studiare qualcosa sulla storia dell’antico Egitto più è evidente che le lacune sono tante e stai navigando tra opinioni. Si, perché vi sono pochi dubbi sulla vita di greci e romani, sui loro stili di vita e le loro credenze. Sugli Egiziani, invece, si può ancora dir di tutto. È per questo che in molti si sono immolati alla sua storia venendo da ogni parte del mondo si son felicemente ma anche ferocemente ammalati di Egitto.
Li trovi dappertutto infiammati dal desiderio di mettere il piccone sopra un pezzo di storia o… su un carro o… mille carri da un quintale d’oro l’uno.
Mancano all’appello così tante tombe. La più grande di tutte, quella di Ramses che ha vissuto più di ogni altro faraone della storia, era vuota. Tutankhamon è morto ragazzo e i tombaroli non lo hanno trovato lasciandoci un tesoro stupefacente che ci dà anche la misura di cosa potesse essere quello di Ramses, ma anche di cosa si celi tuttora nel sottosuolo.
Di fronte a quella ricchezza che abbiamo visto quasi da soli al museo egizio, inizi, dopo aver strabuzzato gli occhi dallo stupore per la qualità e il mistero di ogni oggetto, a capire cosa hai davanti in termini di mero valore e peso. Gli europei per non smentirsi hanno sì, fatto in modo che fosse portato alla luce e conservato il meglio possibile ogni tomba e tempio, ma hanno anche riaperto una antica ferita: violare il luogo più sacro, veicolo per l’aldilà, cioè tutto il fulcro di una civiltà, per depredarne e fonderne i tesori, tesori di una cultura che ha mantenuto pressoché intatto il suo credo dal suo inizio alla sua fine. Migliaia di anni!!
Brutta cosa violare, ma ci vai lo stesso, vai dentro e sotto le montagne, ma quando entri nei sepolcri lo percepisci molto forte che non eran posti per te.
Lo han sempre fatto i tombaroli, le hanno sempre cercate e violate quelle tombe, dall’inizio della loro storia, ad indicare che i ladri esistono almeno da quanto loro. Con l’arrivo degli “Egittomani” a fine settecento si è ripartiti alla grande. Chi per passione seguito, o meglio, inseguito e spiato da chi per un altro tipo di fame aveva occhi da leopardo.
Devo dire che mi son veramente divertito ad ascoltare le storie dei “tombaroli”, specialmente quei pazzi di Siwani!! Ha ha… Non c’è quasi nessuno lungo il Nilo o in questi posti storici come Siwa che non abbia avuto a che fare, nelle generazioni della sua famiglia, con il traffico e la ricerca di tesori, per non parlare di falsificazioni di manufatti e avanti. Ne ho conosciuti alcuni a Siwa calpestare giorno e notte una montagna che non nomino (!) con gli occhi da leopardo, camminavano con me e mi mostravano di conoscere ogni singola pietruzza di quella montagna… mi han fatto sentire il rumore del vuoto sotto la pietra e con quegli occhi infiammati, fidandosi, mi dicevano che ci han provato ancora a scavare ma li han beccati, ora son là come animali in gabbia che ci vivono praticamente sopra quei tesori, sopra quelle tombe ancora inviolate. Uno dei due, un uomo bellissimo, aveva due mogli, cose da ricchi avere due mogli dicono… mah… Pensate: per più di 4000 anni la civiltà egizia ha sepolto i suoi morti accompagnandoli di immensi tesori a seconda della loro posizione sociale. Immaginate quante possano essere le tombe. E praticamente tutto è successo sulle immediate sponde di un fiume.
A Elefantina, una mattina di buon ora, ho camminato sulle rocce levigate finemente dal lungo tempo, grandi, tondeggianti, bellissime sotto il sole all’alba, immerse in acque trasparenti. A ogni piccolo passo vedi i segni di quella civiltà, vedi dei fori perfetti, quadrati o rotondi, vedi strane seghettature e altre incisioni che servivano a chissà cosa, vedi che il granito è levigato in quei punti in cui viene naturale appigliarsi alla roccia per camminare in una direzione. Li è successo tutto, lì, sto mettendo i piedi e le mani dove incessantemente per 4/5/6/7mila anni e più sono stati appoggiati. Quanta civiltà ha visto quei sassi. E pensare che visto da lassù non è che un rivolo d’acqua il Nilo…
Sempre lì, passato e presente di un popolo lungo un solo fiume, racchiuso dalla sabbia. Egitto.
Solo l’Egitto in tutto il pianeta ha questa caratteristica. Il Nilo, da quaggiù… è tosto, è un grosso serpente, ci sono isole e isolotti, quando tira la corrente e ci sei sopra in una feluca ne senti la potenza. Eccome! In suolo egiziano tutto fila molto liscio e fluido come la quotidianità dei suoi abitanti. Una volta all’anno cade qualche palma per il vento e qualche muretto di fango cade per piogge di 20 minuti. Per il resto… tutto scorre fluido… Sole, vento, raccolti, trasporti fluviali.
Quando siamo entrati ad Edfu eravamo da soli, il sole era a picco, eravamo inebriati dall’avventura, dal movimento della barca che avevamo lasciato sul Nilo ad attenderci per proseguire verso Aswan e dai magici Thè che il nostro capitan Mose ci preparava la mattina. Sembriamo due viaggiatori un pò bohemian dei primi del novecento. Non abbiamo mai fatto un viaggio simile prima d’ora. Ci siamo concessi molto, come il privilegio di essere solo noi due nella bellissima feluca “dreamweavers” capitanata dal capitan Mosè che ci ha portati da Aswan a Luxor. Sei giorni di vento e sole e sei notti di stelle pulsanti. Devo far mente locale e ripetermi che stiamo vivendo una situazione anomala. Non ci sono turisti né viaggiatori e in più non è tempo di vacanza per gli egiziani. Siamo soli quasi ovunque. Tutto è facilissimo da ottenere in qualsiasi momento. Non dobbiamo prenotare niente. Tutto è lì, pronto, basta saltarci sopra. I prezzi sono abbordabili per non dire impensabili per il servizio che ti viene offerto. Mi sembra irreale e dopo un paio di mesi in questa terra devo ripetermi più volte che questo Egitto lo sto vedendo durante la pandemia. Siamo qui ad ondeggiare tra deserti, fiumi e mari, serviti e riveriti in questo momento che marchia la storia così violentemente. Alla sera apro il browser e prima di dormire mi informo, mi intristisco, mi sale la rabbia, per un mese provo anche un certo senso di colpa, ma non ho fatto nulla di strano mi dico. Perché non c’è nessuno? Dove sono tutti i viaggiatori, i viandanti? Dove sono tutti quelli che hanno il tempo e i mezzi per farlo? Sono milioni in Europa e nel mondo. Voli ce ne sono. Molto meno del normale ma ci sono, tutto il resto lo sapete, ve l’ho spiegato. Perché allora? La risposta è ancora una volta lì, in quel martello che ormai ci ha battuti e arroventati a puntino, pronti per essere piegati.
La “dreamweavers” attracca ad Edfu. Scendiamo, un poliziotto ci fa passare per un metal detector un pò scassato posto lì sulla banchina in mezzo ai detriti, saliamo le scale e ci aspetta un calesse con una cappottina blu stellato, come i tetti dei loro templi. Percorriamo le vie della città per poi imboccare un viale che porta al tempio. Nessuno. Il viale e il parcheggio sono pensati per ospitare migliaia di visitatori al giorno, ma siamo solo noi. È irreale, ci sentiamo come i reali inglesi in visita, salutiamo quel vuoto con le mani a mò di Regina Elisabetta, ridiamo molto per poi ammutolire di fronte ai bastioni del tempio.
Nelle sale dei musei, dal Cairo ad Aswan a Luxor, quando si ripercorrono i periodi delle dinastie faraoniche sbalorditi, ammaliati, estasiati da tanta bellezza, si percepisce una società pacifica, elevata. Poi… quando si entra nelle sale del dopo anno zero… tutto svanisce. Non resta più nulla, se non qualche affresco di qualche santo triste, sofferente e scolorito…
Ho riso molto quando innocentemente il nostro grande uomo Khaled, che ci ha fatto vivere e capire il deserto, ci ha detto: i romani erano poverini! Ha ha… non ha torto. Discutevamo con lui dei tesori dell’Egitto.
Mi è stato chiesto più volte cosa mi sia piaciuto di più in questo lungo viaggio. Rispondo: l’umanità di quel popolo e Maya.
Baci ed abbracci a chi fin qua arrivò.
Con Amorrrrrr
Stefano